L’Oman è qualcosa di più del nostro immaginario: è umiltà, è paese di ricchezza e povertà, petrolio e deserto, mare e montagne. È terra di piacevoli e inaspettate sorprese.
Niente a che fare con gli sfarzi verticistici di Dubai o la preziosità dei palazzi orientali. Si nota già al nostro arrivo a Muscat. Case ocra e spesso anonime si mimetizzano nell’aridità del terreno lunare.
È il primo giorno in Oman e l’itinerario stabilito prevede una lunga giornata: il Canyon Jebel Shams, Misfath al-Abryeen, di cui si dice sia il villaggio più antico dell’Oman, e Nizwa, l’antica capitale.
Dal finestrino il paesaggio comincia a cambiare. Le immense strade a sei corsie di Muscat lasciano posto a piccole stradine scavate nella nuda roccia dei monti Hajar. Con occhi meravigliati, attraversiamo paesi di argilla e pietra, montagne dai colori fantasiosi e piccole oasi improvvise.
Bahla Fort
È Bahla che ci cattura per primo e chiede di fermarci qualche istante. Inaspettatamente notiamo due alte torri in adobe, il tipico impasto di sabbia, paglia e argilla. Non può essere che il vecchio Forte del villaggio, costruito quando l’oasi prosperava sotto il controllo della tribù Banu Nebahn. Se le stanze formano un intricato labirinto, poco resta all’interno delle sue mura, spogliate del loro antico ruolo nella vita quotidiana.
Jebel Shams
Inizia adesso la faticosa scalata verso la cima più alta dell’Oman. È la montagna del Sole, dove le luci dell’alba toccano per prime il suolo arabico.
Qualche ora per salite sterrate e ci siamo! Il Grand Canyon d’Arabia si presenta all’improvviso in tutta la sua maestosità: potrebbe essere l’imbuto dell’inferno di Dante. Lo strapiombo da vertigine è così profondo che lascia intravedere fino a 2000 metri più in basso, fino al Wadi Ghul. Il colore e le venature della roccia ammaliano. Mi sento così piccola rispetto al mondo. Le aquile bianche sopra di me vengono trasportate dalle leggere folate di vento, mentre sulla mia pelle il brivido del vuoto e del freddo pungente contrasta col calore dell’adrenalina.
Come non lasciarci un pezzo di cuore? Ma come non procedere oltre? Siamo solo all’inizio e numerosi saranno i contrasti che ci offrirà la natura omanita. All’aridità della terra e alle caprette brulicanti i pochi rametti secchi soni affiancate vegetazioni lussureggianti e oasi rigogliose che sorgono improvvise in suoli prosciugati dal sole.
Misfath
A dispetto del petrolio, a dispetto di uno dei deserti più vasti del mondo, è proprio l’acqua la prima ricchezza dell’Oman. Ed è a Misfath che mi accorgo di come tutto questo sia possibile. Proprio qui nascono i primi “falaj”, i canali d’irrigazione in pietra per la sapiente gestione delle acque. Si capisce dalle palme verdi che coprono il cielo, dagli orti coltivati, dal veloce contadino che sotto il peso di pesante fogliame e radici, rischia di cadere sulle scalinate rocciose.
Ogni angolo è una curiosa scoperta. Da giare e anfore appese al soffitto di stretti cunicoli, alla poco famosa “National Gallery” .
È la casa più vecchia di Misfath, e forse dell’intero Oman, ci dice Ahmed. Crederci? Non so, ma che salto nel passato entrando per la porticina.
Vedo antichi utensili da cucina in terracotta, l’argenteo pugnale omanita, simbolo d’orgoglio nazionale, e la moneta coloniale, il Tallero di Maria Teresa. Ahmed ci racconta fiero dell’eredità generazionale di quella minuscola casupola in fango, e accompagnati dalla sua magnifica oratoria, arriviamo fino alla terrazza più alta.
E qui, per la prima volta veramente, vengo rapita dall’ineccepibile ospitalità omanita, quella monarchia assoluta che pur lascia tanta libertà.
Riesco ancora a sentire il sapore del dolcissimo Karak Chai, intrigante nel suo gusto al cardamomo. Ahmed e suo fratello hanno appena preparato per noi un piccolo tavolino di tè e datteri con vista esclusiva sul roseo tramonto.
Nizwa
Dopo quasi 450 Km percorsi, non ci resta che dirigerci più a sud, verso Nizwa, per completare i 500 km di oggi. O meglio, per svegliarsi l’indomani al grido indiscreto dei commercianti del Souq.
E infatti, il giorno seguente netti belati cominciano ad infiltrarsi nelle nostre orecchie. È il suono del Venerdi.
È appena l’alba e già il mercato di Nizwa prende vita. Sorgono i primi banchetti del dolcissimo halva e dei salati anacardi. Aprono i negozietti di ceramiche nel Souq est. Si odorano i primi fumi inebrianti di incenso e mirra. Mi ritrovo così travolta da una folla di toghe bianche, di cappellini e turbanti variopinti elegantemente indossati per l’occasione.
Attratta da strani versi, improvvisamente mi ritrovo in una rustica piazzetta. Animali di ogni genere sono rinchiusi in strette gabbiette: i galli schiamazzano, i piccioni si appollaiano indifferenti, pulcini malandati e gattini più sporchi mi guardano con occhi dolci.
Ma so che c’è qualcosa di ancora più suggestivo. Siamo venuti fin qui proprio per quello.
È il famoso mercato del bestiame. Oltre i venditori di pesce essiccato, si apre la grande porta che dà accesso alla piazza della più accanita contrattazione.
Ne rimango sconvolta e affascinata. Un mondo così diverso dal nostro, dalle tranquille piazzette del mio paese. Da una parte all’altra della rotonda, i commercianti trascinano capre e pecore a guinzaglio. Quelli più abili lanciano aste, quelli meno si accontentano della prima offerta urlata sulle altre voci. Potrei comprarmi un agnellino: solo 3 omr, 7,50 euro. Ma poi come lo porto in valigia?
Poche sono le donne che prendono parte al Souq, ma qui vedo le prime, con l’intero viso rigorosamente coperto dalla maschera nera.
Ognuno è immerso nel proprio mondo, nei propri affari e nessuno di loro vuole perdere l’occasione della settimana. Anche le mogli, ma un velo di discrezione le trattiene dalle diffuse grida di mercato. In questa movimentata atmosfera, nessuno ci nota. Siamo gli unici turisti e, in ogni caso, nemmeno potenziali acquirenti.
E quelle intonate melodie che sentiamo provenire dal vicino Forte?
Il cadenzato ritmo di tamburi ci trasporta fino all’origine di questa allegra musica in stile Aladino. È la locale War Dance, di cui impareremo molto nel deserto. E mentre gli uomini ancora fanno ondeggiare le loro spade decorative, salgo incuriosita verso l’enorme torre del forte.
Esco dai bui cunicoli e la calda luce della mattina inoltrata colpisce i merletti delle porte intagliate. Colora di arancio le silenziosa mura sussurranti secoli di cultura. Scalda i bambini che ripetono il Corano sul tappeto variopinto, guidati dalla maestra.
È come ritornare nel castello di Jasmine, o come essere trasportati nel IX secolo. Come se fosse stato appena costruito e pronto per essere riabitato.
È la tradizione che si è fossilizzata a secoli fa. Soprattutto nei villaggi dell’entroterra, quelli più remoti e lontani dalla capitale. Esattamente come a Misfath, dove ancora non esistono acquedotti. O come nella bella Nizwa, dove il fumo del sandalo bruciato è infilato sotto la veste per rinfrescare i corpi. Ma anche come a Muscat, la nostra prossima tappa, dova la quotidianità sarà sempre legata alla religione.
A fine mattina lasciamo a cuore colmo le più antiche culture per incontrare un altro Oman. Ci dirigeremo verso altre storie tramandate di padre in figlio, ci innamoreremo di nuovo della patria dei Re Magi, vivremo esperienze da Mille e una notte.
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Leggi anche i racconti di viaggio dei giorni seguenti in Oman! Nel magico deserto e a Muscat!
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Rimbalzo l’Oman da due anni e sono molto pentita di questo… Spero di poterci andare presto, almeno finché conserva la sua autenticità.
Si, ci siamo stati un un momento perfetto. Poco turistico e ancora incontaminato
L’Oman deve essere un Paese molto affascinante. Ne ho letto un po’ ultimamente e credo che queste zone dal carattere più rurale e meno turistico siano delle vere perle da scoprire!
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Ciao, complimenti per il tuo blog! Grazie al tuo racconto ho intenzione di organizzare il mio prossimo viaggio in Oman! Posso chiederti se ti sei rivolta a qualche agenzia locale per l’organizzazione delle escursioni?
Indossare pantaloncini così corti è considerato maleducazione in Oman.